“Il successo delle startup è guidato principalmente dalla passione per il prodotto, dalla qualità, dalla visione, dal team-work e dalla persistenza nel team dei fondatori e dei talenti che questi attraggono”
Jim Breyer – CEO Breyer Capital.
Secondo la relazione del terzo trimestre 2019 sulle startup innovative in Italia (report MISE ed Infocamere), il numero delle startup in Italia si attesta ad essere superiore alle 10 mila unità, arrivando a dare lavoro a più di 50 mila persone. Ma quante di queste riescono davvero a sopravvivere? A diventare delle aziende mature e solide, sia in ambito gestionale che finanziario?
Lo “startupper” con il mito del garage americano non esiste. Siamo nell’era degli spazi di co-working, degli acceleratori, degli incubatori (no, no parliamo di fisica quantistica), dei Business Angels e dei Venture Capital, delle scale up che cercano di diventare delle unicorn: in poche parole, per fare veramente impresa non basta avere solo una buona “idea” e tanta “voglia”. La strada è lunga e spesso l’idea che fa nascere una startup, seppur geniale, rischia di perdersi tra le difficoltà nella raccolta del capitale, nello sviluppo del prodotto, nella gestione della crescita. Dati alla mano, il 90% delle startup fallisce nei primi 5 anni di vita (CB Insight). I motivi risiedono principalmente nella comprensione del mercato in cui si deve operare, il market need. Il prodotto non viene compreso o peggio non è ritenuto utile. In poche parole, la maggior parte degli imprenditori che si affacciano verso nuove sfide mancano di una strategia adeguata: quello che gli americani chiamano il revenue model[1]. Quale fonte di reddito devo ricercare? Quale prodotto genererà valore? Come vendo e a che prezzo vendo il valore del prodotto? Chi è il mio target?
Prima dei business plan con annessa pianificazione finanziaria, tanto utili per richiedere finanziamenti allo Stato, banche o venture capitalist, prima ancora di tutto ciò, l’imprenditore deve costruire un modello di revenue solido che generi fatturato, d’altronde noi di finance sappiamo bene che “cash is king”. Nello sviluppare un revenue model l’imprenditore dovrà esaminare il mercato, capire le necessità e modellare l’idea.
Non vorrei cadere nei luoghi comuni, ma un mercato è fatto di una domanda e di un’offerta il cui equilibrio si identifica nel prezzo stesso del prodotto/servizio. Ogni azienda piccola o grande subisce e si adatta a questa legge. Ogni azienda cresce o fallisce sempre in virtù della stessa legge. L’idea innovativa può portare ad un competitive o technology advantage. Nel breve, l’idea potrà essere copiata e, senza una struttura adeguata, un revenue ed un business model, il rischio di perdere il vantaggio, e quindi di cadere in un circolo vizioso che conduce al fallimento, è alto.
Un esempio molto frequente è il technology advantage di Apple per gli smartphone a tecnologia touch screen. Inizialmente l’azienda di Cupertino ha completamente offuscato il gigante Nokia e “conquistato” il mercato della telefonia mobile. Successivamente ha perso terreno nei confronti di Samsung, in grado di riprodurre il sistema touch screen, simile in termini di qualità sui propri telefoni. Apple che sofferma le proprie strategie sul valore aggiunto del proprio brand è tutt’ora leader, Nokia, invece, ha perso molto appeal.
Una volta comprese le necessità del mercato, occorre capire come l’idea stessa sia funzionale alle necessità e poi commercializzarla in maniera “attraente”. Ad esempio, è luogo comune dire che Edison inventò la lampadina ad incandescenza. Tuttavia, egli non inventò dal nulla la lampadina, ma mise appunto delle migliorie su prodotti già sviluppati e brevettati tali da rendere la lampadina, come noi la conosciamo oggi, riproducibile in larga scala. Egli stesso applicò lo stesso metodo, quello dell’industrializzazione delle invenzioni, per altre scoperte tanto che ai giorni d’oggi si questiona la grandezza di Edison come inventore elogiandone le doti di businessman. Se il revenue model è importante per le fondamenta della startup stessa, il business model è la chiave per “creare il valore”, ed in combinazione con una buona pianificazione strategica, il business plan, diventa la leva ineludibile per la crescita dell’azienda. Il business plan è il metronomo dell’azienda. Una pianificazione corretta permette di gestire al meglio le risorse attuali e future, evitando il rischio di correre troppo o troppo poco. Quello che poi è il piano industriale (perché con la globalizzazione le parole inglesi ormai sostituiscono le italiane), non è altro che la miglior guida su cui il team deve basarsi, gestendo la crescita ed i rischi ad essa legati fornendo alert tempestivi tali da poter modificare la strategia in corsa.
Una startup è un’azienda al 100% e come tale ha l’obiettivo di generare utili e ripagare dividendi agli investitori: generare cash. Inoltre, gli investitori valutano sempre la capacità dell’azienda nel generare cash. Tra i modelli di valutazione aziendale più frequenti infatti ritroviamo il “Discounted Cash Flow” ovvero l’attualizzazione dei flussi di cassa liberi. Non è nemmeno un caso che il governo italiano, con il D. Lgs. 139/2015, ha introdotto per aziende con determinate caratteristiche l’obbligatorietà del rendiconto finanziario tra i documenti di rendicontazione del bilancio d’esercizio, in vigore da gennaio 2016. Sebbene le startup, di norma, non rientrino tra le aziende considerate “grandi” e quindi soggette all’obbligo di fornire il rendiconto finanziario, l’utilizzo di questo strumento fin dal principio è da ritenersi di straordinaria importanza. Una pianificazione finanziaria attenta permette di non “bruciare liquidità”, base per qualsiasi strategia di crescita e per la costruzione di un business plan curato.
Come disse Warren Buffett, negli investimenti così come nel business esistono due regole: “La prima regola: non perdere denaro. La seconda: non dimenticare mai la prima.”
“Numeri”, “modelli” “KPI’s”, sono espressioni che si ascoltano quotidianamente in azienda. Tuttavia, il team dei fondatori ed i dipendenti rimarranno sempre l’asset principale di ogni startup, così come di ogni PMI, e di ogni corporate. Non è un caso che imprenditori del calibro di Henry Ford riconoscano che tra i più grandi valori di un’azienda, oltre ai numeri ed al brand, rientrino i lavoratori stessi. Ebbene sì, un’azienda è fondata da donne e uomini, lavoratori e leader. Una startup che ha voglia di crescere e strutturarsi per essere una scale up e diventare presto una grande impresa, ha bisogno di tre figure leader che gestiscano le tre grandi aree di ogni azienda: CCO, COO, CFO. Ovvero il direttore commerciale, il direttore operativo ed il direttore finanziario. La gestione delle aree e la specializzazione in questi tre ruoli permettono all’azienda stessa di crescere e gestire criticità in modo efficiente.
Riprendendo la citazione iniziale, ogni azienda, startup, si basa su un’idea iniziale, una vision futura e le peculiarità di ogni individuo, ma aggiungerei che trattare una startup come una vera e propria azienda aiuterà il team a superare le insidie che si nascondono in tutti i percorsi di crescita. Per riassumere, se il 90% delle startup fallisce è perché non ha individuato o sviluppato un prodotto idoneo al mercato o, se invece ci è riuscita, non è stata in grado di gestire le criticità dovute al percorso, in genere per mancanza di competenze specifiche nelle aree core di ogni azienda.
[1] il Business Model costituisce il progetto su come portare avanti un’azienda e di continuare ad ottenere dei profitti, mentre il Revenue Model descrive le modalità in cui l’azienda suppone di giungere ad un guadagno.
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