L’emergenza epidemiologica ha stretto in una morsa l’economia italiana; le risorse della Nazione, già
largamente insufficienti per la gestione dell’ordinario, sono chiamate a rispondere ad un’ulteriore doppia
emergenza: maggiori investimenti nella sanità per contenere il contagio Coronavirus ed interventi a sostegno
di un’economia sospinta in una fase recessiva molto grave.
È a tutti evidente che i mezzi ordinari non basteranno a vincere questa doppia sfida e che, una volta ristabilita
la normalità sanitaria, bisognerà concentrarsi sul tema del rilancio e dello sviluppo.
Non entro nel merito di eventuali aiuti che possono arrivare dalle Istituzioni Europee poiché ritengo vitale
che ci sia anche una reazione autonoma Nazionale capace di creare una vera coesione sociale e di generare
energie positive in una popolazione apparentemente rassegnata e da tempo priva di spunti veramente
innovativi.
L’attuale proposta si concentra, quindi, solo sulle risorse di cui dispongono gli Italiani.
In particolare, ritengo estremamente importante il dato riguardante la loro liquidità presente sui conti
correnti delle banche del Paese la cui stima si aggira concordemente su un valore vicino a 1500 mld/€.
Tale cifra può essere presa come rappresentativa del risparmio privato e non investito della Nazione anche
se in forte difetto poiché non contempla né i capitali italiani all’estero né la liquidità eventualmente
parcheggiata nelle cassette di sicurezza o nelle abitazioni.
Tuttavia, la prima domanda da porsi non è di carattere economico ma è volta alla comprensione del perché
sia prevalso un orientamento di rinuncia a qualsiasi forma di impiego di una massa monetaria così ingente e
ci sia stata, invece, una opzione di massa per uno strumento finanziario che, al meglio, rende un interesse
pari a zero. È singolare notare come si sia in presenza di una situazione opposta rispetto a quella degli anni
80 quando tutti correvano a sottoscrivere titoli del debito pubblico attirati da rendimenti a doppia cifra
mentre oggi sembra che la massima soddisfazione risieda in un mero congelamento del patrimonio esistente.
La realtà ci dice che negli ultimi 20 anni il risparmiatore medio si è visto progressivamente privato di certezze
sul futuro dei suoi possibili investimenti: la Borsa, con i suoi shock ricorrenti e drammatici, ha dimostrato di
essere solo un gioco per addetti ai lavori; gli strumenti di investimento collettivo (Fondi Comuni, Hedge,
ETF..) hanno disorientato i potenziali investitori per la loro complessità tecnica e il focus esasperato sui ritorni
economici delle Società emittenti a scapito dell’interesse della platea dei risparmiatori; le Banche, ovvero le
Istituzioni tradizionalmente più vicine ai cittadini, ne hanno sempre più spesso tradito la fiducia come si è
visto anche in tempi recenti; gli Organi di Controllo preposti alla vigilanza, spesso hanno nascosto la propria
inadeguatezza con dispute incomprensibili circa la responsabilità di interventi tardivi o mai effettuati; il
settore immobiliare, infine, ha visto una impennata nella tassazione degli immobili non più compensata da
un innalzamento del valore commerciale dei cespiti.
Il risultato visibile è che l’investitore medio ha sempre più spesso l’impressione di essere soltanto il target di
campagne di acquisizione sapientemente orchestrate da operatori finanziari spregiudicati che, nel
disinteresse degli Organi di Controllo, formulano proposte in apparenza accattivanti ma, in realtà, volte
principalmente all’ accrescimento dei propri mezzi.
In queste condizioni il medio piccolo risparmiatore, non riuscendo ad individuare una strategia di
investimento chiara, si astiene e sceglie di non mettere in gioco il suo capitale nel timore che lo stesso non
sia in grado di assolvere la funzione di tutela del titolare e/o dei suoi eredi: il risparmio delle famiglie Italiane,
tratto distintivo della nazione, è, infatti, tradizionalmente servito ad agevolare i passaggi intergenerazionali.
Il risultato è che una parte importante della Risorsa-Paese resta in stand-by per la mancanza di scenari
confortanti e di indicazioni politiche chiare circa le sfide prossime che il Sistema-Paese deve affrontare.
È urgente, quindi, combattere questa situazione di incertezza per fornire ai cittadini una visione prospettica
che metta al centro del dibattito il futuro della Comunità e ricrei nella popolazione il necessario clima di
fiducia.
Per cogliere questo obiettivo c’è la necessità di una proposta innovativa, visibilmente e sostanzialmente
dissimile dalle confuse rappresentazioni recenti e in grado di segnare un alto grado di discontinuità con il
passato.
La proposta deve interessare almeno due macro-aree tematiche sulle quali lavorare: la prima per risolvere
situazioni del passato non più differibili quali il dissesto del territorio, delle infrastrutture esistenti, gli sprechi
di risorse vitali come l’acqua mentre la seconda deve indicare i passi da fare per annullare il ritardo nello
sviluppo tecnologico che il Paese ha accumulato negli anni.
Questi temi, che sono stati spesso presenti nelle prospettazioni programmatiche degli ultimi Governi, non
hanno avuto alcuno sviluppo poiché soggetti ad una declinazione più propagandistica che operativa come, a
mio avviso, sarebbe stato necessario per produrre fatti reali.
Il piano generale cui mi riferisco, sarebbe in realtà composto da un insieme di progetti dettagliati con la chiara
indicazione di obiettivi, tempi di realizzazione, costi, vantaggi dell’opera, strumenti di controllo per la sua
realizzazione, visibilità in tempo reale sull’andamento dei lavori e clausole atte a correggere ogni
inadempienza eventuale. Il tutto sotto il coordinamento di una cabina di regia impostata esclusivamente sulla
competenza dei singoli.
Una volta sviluppato il singolo progetto ci si può rivolgere agli Italiani (Privati e, in subordine a Banche /
Istituzioni Finanziarie) con un “Patto di Solidarietà” chiedendo un finanziamento diffuso in cambio di un tasso
di interesse da corrispondere.
Trattandosi di opere complesse, si dovrebbe vincolare l’investimento ad un periodo minimo (almeno pari al
doppio o al triplo della durata di realizzazione prevista) garantendo all’investitore Privato l’esenzione del
capitale investito da qualsiasi imposta presente e futura: questa misura sarebbe largamente apprezzata
poiché totalmente rispondente all’esigenza ed al sentire reale del cittadino circa la tutela certa del proprio
patrimonio.
In breve, lo Stato sarebbe in condizione di impiegare la liquidità raccolta per aprire nuovi cantieri e creare
nuovi posti di lavoro sempre con l’impegno di mantenere fede ai propositi iniziali.
Ritengo che questo modo di procedere costituirebbe una forte discontinuità con il passato dove la prassi
diffusa era l’impiego dei finanziamenti statali spesso in modo difforme rispetto alle finalità inizialmente
dichiarati con il risultato di alimentare la sfiducia dei cittadini nei confronti delle Istituzioni e di generare
sospetti sulle vere finalità delle operazioni: cito come esempio emblematico il Mose di Venezia, le cui finalità
erano ben al di là di qualsiasi possibile obiezione e che è stato, invece, trasformato in un lampante esempio
di incapacità e malaffare.
Sicuramente gli italiani non vorrebbero più vedere ministri che si compiacciono di fronte alle telecamere per
essere riusciti a far assegnare un finanziamento senza poi essere chiamati a rendere conto sull’utilizzo
effettivo delle somme erogate e sull’eventuale divario tra obiettivi e concrete realizzazioni.
Purtroppo, la lista degli esempi negativi è troppo lunga perché si possa ancora tollerare.
L’attuale piano si pone, quindi, l’obiettivo di rendere la popolazione partecipe dei progetti prescelti sia
attraverso il finanziamento selettivo delle proposte presentate che a mezzo di successivi controlli costanti
dello stato dei lavori: di fatto si andrebbe ad instaurare un controllo diffuso e continuo reso possibile dalla
pubblicazione online delle informazioni rilevanti riguardanti il singolo progetto.
Una volta instaurato il meccanismo descritto, lo Stato sarebbe indebitato solo con i suoi cittadini ed avrebbe
il vantaggio di sottrarre i tassi di interesse corrisposti alle fluttuazioni imposte dalle logiche della speculazione
internazionale.
Parte del prestito rimborsato agli investitori, inoltre, rientrerebbe nella disponibilità della Stato attraverso la
tassazione applicata agli strumenti ed all’occupazione generando un effetto virtuoso sul lungo periodo.
In un periodo ipoteticamente infinito l’investimento dello Stato sarebbe prossimo a zero (al netto di
disfunzioni e di inefficienze degli investimenti).
Ma non sarebbero pari a zero i vantaggi del Piano che si possono sintetizzare in : a) ammodernamento delle
infrastrutture; b) maggiore tutela e sicurezza per la popolazione; c) maggiore efficienza del Sistema-Paese;
d) eliminazione di costi inutili legati a riparazione di strutture ormai prossime al collasso con contestuale
azzeramento di fenomeni corruttivi collegati a simili fattispecie; e) reale impulso alla imprenditoria Nazionale;
f) centralità del lavoro utile come tema fondante del rilancio Nazionale.
Infine, non è da trascurare l’immenso vantaggio immateriale che una partecipazione diffusa può generare: il
cittadino cambia pelle e, da suddito soggetto alle rappresentazioni interessate di una politica spesso confusa,
diventerebbe con la sua grande o piccola fiche d’investimento un elemento discriminante delle scelte da
effettuarsi per la costruzione dell’Italia di domani.
Un vantaggio anche per la democrazia!
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